sabato 26 marzo 2011

Bianca

È stato tanto tempo fa, all'epoca in cui Facebook ancora non esisteva e tutti noi perdevamo le giornate dietro MSN, da poco nato. Si girava per i forum, ognuno aveva il suo blog su MySpace e YouTube era la causa costante dei nostri cattivi voti. Ci sono passati molti di noi per questo periodo immagino. E, diciamocelo con tutta sinceritò: MSN era usato soprattutto per rimorchiare in lungo ed in largo, tra i nostri 500 e più contatti provenienti da ogni dove. Una mole impressionante di contatti su MSN, questo me lo ricordo benissimo. Ad un certo punto misi l'opzione per accettare in automatico le richieste delle altre persone. Mi capitava quindi di vedere la lista amici sempre più enorme e mi sentivo felice a vedere quel numero sfondare le migliaia di unità.


Tra le svariate centinaia di contatti che avevo, ce n'era uno alquanto singolare. Tutti usavamo mettere simboli, emoticon ed altre cose illegibili nel nick, per poi lasciare lo spazio della frase personale a qualche citazione di canzoni o roba del genere. Con l'avvento di MSN Plus! poi, fu un vero e proprio tornado di colori e sfumature nella propria lista contatti. Questo contatto che mi attirò era assolutamente atipico: un semplice nome, "Bianca", senza abbellimenti di sorta o frase personale. Un pò per noia, cominciai a parlare con lei.

Partii con le domande di rito, i classici "chi sei, quanti anni hai, di dove sei" eccetera, ma lei sembrava non rispondere. La trillai pure qualche volta, ma nulla. Nonostante fosse online, non accennava a dare segni di vita. Distolsi il pensiero da quel contatto e continuai a chattare con i miei amici. Dopo un'oretta circa, Bianca (come mi conferò successivamente quel nick era il suo vero nome) mi contattò, dicendomi che non era al PC quando gli scrissi i messaggi. Cominciammo a parlare un pò del più e del meno: i gusti in fatto musicale, che scuola si frequentasse e altre cose. All'epoca aveva 14 anni, era all'ultimo anno delle medie e l'anno seguente si sarebbe iscritta al liceo classico. Continuammo a chattare e, ad un certo punto, si mise su offline improvvisamente. Non riuscii a ricontattarla per la successiva mezz'ora. Probabilmente aveva avuto un problema di linea (le ADSL erano da poco entrate nelle case di tutti e davano spesso problemi anche a me) e andai a dormire, ricordandomi che Bianca non aveva risposto alla mia domanda riguardo il luogo in cui abitava. Mi rimase inoltre impresso il suo avatar: gli omini di MSN colorati di nero e di rosso. Mi infilai sotto le coperte facendo zapping in TV. Erano appena finite Le Iene su Italia1 e, non trovando null'altro di interessante ed avenvo la scuola il giorno dopo, spensi il televisore e mi misi a dormire.

Il pomeriggio seguente, dopo pranzo, riaccesi il PC e mi fiondai su MSN per informarmi su cosa avremmo dovuto fare di matematica per il giorno dopo a scuola. Appena effettuato l'accesso, mi ritrovai un messaggio di Bianca mandato la notte tardi, in cui si scusava per non aver risposto, a causa, come effettivamente sospettavo, di problemi di connessione. La ragazza non era online, ma le scrissi comunque che non faceva nulla e non ero arrabiato. Presi l'assegno di matematica da un mio amico e feci per chiudere MSN, quando arrivò l'icona che Bianca si era appena collegata.
La contattai ridicendole che non me l'ero presa, e lei ne fu contenta. Mi disse che quel giorno aveva fatto un test di inglese e non era andato affatto bene. Provai quindi a consolarla, dicendole che poteva recuperare senza problemi e tante altre menate varie. Si, volevo provarci con quella ragazza. Così, per gioco: probabilmente lo feci per divertirmi un pò, per passare il tempo.

Dopo aver provato a consolarla, gli chiesi se poteva inviarmi una sua foto, ma lei mi rispose che non ne aveva ed era sprovvista di webcam. Le inviai comunque una mia, che lei accettò, dicendomi che ero molto carino e poi promettendomi che mi avrebbe inviato una sua foto al più presto. Parlammo del più e del meno e sentivo che quella ragazza cominciava ad essermi simpatica. Provai a chiederle il numero di cellulare (sinceramente lo feci per poter fare lo sborone il giorno dopo a scuola davanti agli amici) e lei, inaspettatamente, accettò e mi dette il suo. La salutai ed andai a studiare. Ogni tanto mi inviava messaggi per sapere cosa stessi facendo e per parlare un pò.

La sera tornammo a chattare e mi ricordai di chiederle dove abitasse. Mi rispose in maniera molto vaga con un "sul mare". Pensavo stesse scherzando e non volesse dirmelo, così sorvolai sull'argomento e parlammo fino a tardi. La salutai e andai a dormire. Appena entrato nel letto, mi squillò il cellulare: era Bianca. Risposi, e dall'altro capo della cornetta sentii solo un rumore lento e continuo, molto simile a quello che fanno le onde quando si infrangono sugli scogli. Poi improvvisamente cessò e cadde la linea. Gli mandai un sms per sapere cosa fosse e, in attesa della sua risposta, mi addormentai. L'indomani, dopo aver fatto colazione mi ricordai dello strano avvenimento e presi il mio cellulare: Bianca mi aveva scritto durante la notte, dicendomi che non mi aveva chiamato e che probabilmente mi ero sognato tutto.

A scuola, a causa di una giornata molto intensa, non riuscii a scriverle nemmeno un sms. Tornato a casa, comunque, la trovai online su MSN. Di nuovo, negò di avermi chiamato la notte precedente. Mi invitò ad accettare una foto, dicendomi che era l'unica sua che aveva sul PC: raffigurava una ragazza con capelli biondo ramati girata di spalle, appoggiata su un'altura, mentre osservava il mare sconfinato dinanzi a se. Era una foto triste e l'unica cosa che metteva allegria era un fiocco azzurro che le raccoglieva i capelli. Le dissi che era un'immagine molto bella, e lei ne fu contenta. La salutai ed andai a studiare.

Più volte, quel pomeriggio, mi chiamò Bianca sul cellulare ed ogni volta sentivo il rumore inconfondibile delle onde che si infrangono violentemente sugli scogli. Ai messaggi non rispondeva e, turbato da questa cosa, la cercai su MSN: non c'era. Spensi quindi il cellulare, visto che la cosa si era fatta stranamente inquietante. La sera decisi di parlarle riguardo a questi suoi scherzi: accesi il cellulare (mi arrivarono messaggi di numerose sue chiamate perse), composi il suo numero e rimasi in attesa che rispondesse. Uno, due, tre squilli. Quando rispose, sentii nuovamente il rumore delle onde e del mare, stavolta però più forte e distinto della altre volte, e di Bianca nessun traccia. Riuscii a trovarla però su MSN quella stessa sera, e le chiesi di finirla con i suoi maledettissimi scherzetti idioti. Sembrò scendere dalle nuvole, e mi chiese di finire quella mia presa in giro nei suoi confronti, visto che a sua detta non mi aveva telefonato nemmeno una volta. Ero arrabiato per quella faccenda, lo ammetto. Le scrissi che stavo per comporre il suo numero e, stavolta, avrebbe fatto bene a chiudere quella messinscena: feci partire gli squilli verso il suo numero di cellulare. Nuovamente, al quarto squillo venne ancora fuori la voce del mare, sempre più forte e assordante. Intanto su MSN Bianca non dava segni di risposta o altro. Cominciai a spazientirmi e, sempre con la chiamata attiva (avevo messo in vivavoce) le scrissi in chat di farsi sentire, visto che la cosa cominciava davvero a darmi sui nervi. Passati pochissimi secondi dopo quel messaggio, dal cellulare venne fuori un suono spaventoso: era il mare, in tutta la sua furia e potenza, sospinto dal vento ululante e intralciato dagli scogli sul suo cammino. Mi parve di vivere un'esperienza terrificante. Sentii poi un urlo provenire dal cellulare stesso e poi il rumore che fa un grosso oggetto quando cade nell'acqua. La chiamata si interruppe e Bianca si era scollegata.
Cancellai e bloccai quel dannato contatto e tutte le conversazioni salvate sul PC, distrussi la scheda del cellulare e ne comprai una nuova qualche giorno dopo. Cambiai anche account MSN, dando una password casuale a quello vecchio, in modo da non averci più nulla a che fare.

Da allora non sono mai più andato al mare, ed ogni volta che sento il rumore delle onde, divento pallido come un fantasma. E non riesco a togliermi il suo dannato contatto dalla testa. Sono passati anni ed anni, ma quel bianco_porpora@hotmail.it rimbomba ancora nella mia testa.
Continua...

martedì 22 settembre 2009

Routine

Rob, era con una pistola alla mano, pronto a fare ciò che aveva deciso lentamente, una scelta, conseguita da una vita monotona, lunga e troppo insoddisfacente per un tipo come lui. In particolare, odiava più di ogni altra cosa al mondo, la Routine, tutte quelle azioni, conversazioni, movimenti, luoghi, persone, incarichi ed abitudini che erano entrate prepotentemente nella sua vita. Era come un Meccanismo infernale, da cui non si poteva scappare.

Da sempre, era stato un servo della Routine, fino a divenirne in un certo qual modo ossessionato, arrivando ad odiarla. Se, durante i primi anni di vita, già cominciò a rendersi conto di eseguire particolari azioni quasi meccanicamente, cominciando dalla sveglia, al tragitto per l'odioso bus che lo avrebbe portato a scuola, luogo dove si sarebbero, nuovamente, ripetuti schemi visti e già visti, con soltanto piccoli impercettibili cambiamenti saltuarii che non facevano altro che sembrare degli spiragli di luce in quel mondo asfissiante. Abbastanza grandi da filtrare l'aria della libertà, ma troppo piccoli per essere attraversati.
Con il passare degli anni, Rob capì che era divenuto schiavo di tale Meccanismo, sentendosi sempre di più come un pupazzo inerme in mano ad esso, costretto a ripetere le stesse sequenza di azioni ogni giorno, come se non avesse possibilità di cambiare o di scegliere volontariamente.

Cambiare. Si, era questo ciò che Rob voleva, desiderava più di ogni altra cosa: cambiare, modificare la sua vita, poter decidere arbitrariamente le sue azioni, dare uno strappo e sperimentare ogni giorno cose diverse, senza cadere nel tunnel del Meccanismo infernale che per una vita intera lo aveva reso schiavo inconsapevole di chissà quale progetto ignoto.
E, per cominciare, Rob decise di trasferirsi in un altro paese, all'insaputa di familiari ed amici, facendo perdere le sue tracce. Quindi scelse di rimanere disoccupato di proposito, essendo che lui considerava anche il più semplice dei lavori come un artiglio della Routine. Le spese economiche poteva sostenerle con i risparmi accumulati e con la vendita di tanti cimeli di famiglia che ormai per lui non avevano più senso, quasi come se lo legassero a ciò che voleva scordare di essere.
Abbandonò la fede, deducendo che il solo credere a dogmi sacri o pregare fossero cose ripetitive, macchinose ed inutili. Poteva vivere benissimo senza.
Cominciò a frequentare ogni giorno gente diversa, nuova, dei più vari ambienti sociali: dalla classe medio alta dei club di lettura, ai rozzi e pericolosi uomini dei bar di periferia; provò sul suo corpo gli effetti ancora sconosciuti di sostanze alcoliche e dei paradisi sintetici, ma, li abbandonò subito, nella volontà di non cadere dipendente. Non per la propria salute, me per i motivi che già conosciamo.

Ma, passati i giorni ed i mesi, Rob si rese conto che, nonostante la sua Routine originale era stata infranta, sarebbe, prima o poi, ricaduto nuovamente in essa, e quasi divenne pazzo nel cercare di trovare un modo per non farlo, per non sprofondare di nuovo in quell'incubo.
La risposta alla sua domanda, al tentativo di evadere dalla monotonia, gli balenò in mente come un lampo accecante: uccidere.
Si, avrebbe assassinato le persone, scegliendole puramente a caso, preparando crimini sia elaborati o, a prima vista, dovuti ad uno scatto di rabbia. Le sensazioni che provò facendo ciò, furono le più forti che Rob provò mai in vita sua: la sensazione di elevarsi a Dio in persona, tagliare il filo che legava anima e corpo delle sue ignare vittime e, cosa ancora più macabra, questa sensazione lo faceva sentire vivo come non mai.
Ma per quanto tempo ancora? Quanto avrebbe dovuto attendere affinché, nuovamente, quella vita lo avesse nuovamente stancato? Il Meccanismo lo avrebbe preso di nuovo, stavolta per sempre?
Rob, già sapeva come concludere quel disperato atto per scappare alla Routine che lo perseguitava da una vita: il suicidio.

Se, nel commettere uccisioni efferate era stato per lui la miglior fonte di novità e adrenalina vitale, il suicidio sarebbe stato perfetto: un'azione impossibile da ripetere, in grado di salvarlo dalle sue ossessioni e fantasmi da cui era perennemente in fuga. L'ultima scarica di vita prima di essere privato della vita stessa dalle sue stesse mani. E, poi, avrebbe vissuto – se così si potrebbe dire – in un nuovo mondo che non lo spaventava: nulla poteva essere peggio del Meccanismo infernale che si era insediato nella mente di tutte le persone esistenti.

Così, un giorno, Rob prese la pistola che aveva raccolto ad una delle sue innumerevoli vittime. Si guardò allo specchio e puntò l'arma alla tempia, osservando il suo riflesso. Stava per premere il grilletto quando sentì bussare alla porta.
Chi sarebbe mai stato? Cosa avrebbe dovuto fare, continuare la sua folle opera o controllare chi, insistentemente, picchiava contro la sua porta? Rob, spinto per curiosità e per la sua ossessione nel voler provare qualcosa di nuovo, anche conoscendo altre persone, posò la pistola sul letto e aprì la porta. Fu colpito violentemente alla testa da un oggetto pesante e cadde in un sonno profondo.

Rob si svegliò, incapace di muovere le braccia, che sembravano come legate da una strana veste che gli ricopriva l'intero corpo. Si guardò in giro, e notò che si trovava in una stanza quadrata, completamente bianca e ricoperta, pavimento e mura, di un qualche cosa di soffice, come di gomma. Una porta sigillata e una finestra dalla quale passava luce ed aria in maniera appena sufficiente per una persona. Ci mise poco a capire che, alla fine, il suo piano era miseramente fallito: la Routine, il Meccanismo, lo aveva sopraffatto e ora avrebbe dovuto passare il resto dei suoi giorni in quella cella di manicomio, da solo. Aveva perso la sua battaglia durata una vita. Rise, in modo malinconico e rassegnato. E continua a farlo tutt'ora, sempre più forte, sempre più follemente. Continuamente.
Continua...

martedì 15 settembre 2009

Thomas White

Il mio nome è Thomas White. Sin dall'anno in cui nacqui, ho sempre vissuto una vita normale, senza eventi più tragici della perdita di qualche conoscente o familiare.
Mai ho subito minacce fisiche o psicologiche e la mia infanzia, posso dire che è stata spensierata, come quella della maggior parte dei fanciulli di questo mondo. Nello studio e nello sport, non ero di certo un fenomeno, ma nemmeno uno dei più scarsi. Mantenendo buoni voti, mi è stato possibile assicurarmi un posto di lavoro in grado di darmi una buona rendita mensile, consentendomi di mettere su famiglia e crescere due bambini con la mia amata moglie.
Insomma, quella che potrebbe essere una vita noiosa, troppo classica e normale per alcuni, è stata la mia vita.
Perché vi parlo di questo? Semplice: la mia condizione attuale, bloccato in un manicomio, potrebbe far credere che le parole da me scritte su questo foglio di carta siano quelle di un pazzo esilarante. Ma, vi assicuro che così non è. Varie circostanze, che ora vi andrò ad elencare, mi hanno portato qui, dove, molto probabilmente finirò il resto dei miei giorni.
Continua...